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 TESTO DELLA CONFERENZA DA ME TENUTA IL
12 GENNAIO 2010  AL PALAZZO DUCALE DI GENOVA

NELL'AMBITO DEGLI INCONTRI ORGANIZZATI DA "A COMPAGNA"
E PUBBLICATO SUL LORO SITO UFFICIALE


LA NASCITA DI STINTINO 

UN ESEMPIO LIGURE DI INSERIMENTO SOCIALE


di Annamaria "Lilla" Mariotti

Stintino01_1813

Prima di parlare di Stintino bisogna passare per Camogli e per l'isola dell'Asinara partendo da tempi remoti, cioè dalla fine del 1700 per arrivare ai giorni nostri. E' un lungo cammino, che ci illustrerà come si sia arrivati alla nascita di Stintino e come gli abitanti di questa città portino ancora nomi camogliesi, alcuni dei quali sono ormai spariti dalla città d'origine.



Tra Stintino e Camogli è sempre esistito un legame, se pure tenue, tanto è vero che nel 2001 quel Comune, unitamente ad altri Enti Sassaresi - tra cui l'Università di Sassari - ha deciso di allestire una mostra intitolata : "SULLE ROTTE DEI TONNI …… CAMOGLI, CALA D'OLIVA, STINTINO, UN PATRIMONIO GENETICO CULTURALE COMUNE", che, inaugurata il 30 Giugno, è rimasta aperta fino al 31 Luglio. Forse qualcuno si è chiesto : ma perché fare una mostra su Camogli a Stintino, cosa possono avere in comune due località così distanti e così diverse ? Questo era lo scopo della mostra: rinsaldare quel legame e dare la possibilità ai discendenti di quei primi coloni camogliesi, che ancora portano i cognomi delle loro famiglie originarie, di poter parlare della loro città e di quella lunga storia che li ha portati a vivere su una grande isola, la Sardegna.



Stintino02Tutto cominciò alla fine del 1700 quando alcuni pescatori di Camogli si recarono sull'isola dell'Asinara, dapprima su base stagionale e in seguito stanziale, quando si fecero raggiungere dalle famiglie, non solo per praticare la pesca del corallo e delle aragoste, ma anche per lavorare nella vicina tonnara Saline, allora molto produttiva. Inoltre questa comunità praticava normalmente la pesca come attività principale, mentre altri uomini facevano i traghettatori tra la piccola isola e l'isola madre. Nel 1770 si ha già notizia di una piccola comunità di Camollesi (come vengono definiti nei documenti dell'epoca) residenti a Cala D'Oliva sull'isola dell'Asinara che aumentò ancora intorno al 1801 e negli anni a seguire. Nel frattempo le originali modeste capanne avevano lasciato il posto a costruzioni più solide, casette bianche che ora formavano un vero e proprio paese, con tanto di scuola e chiesa. Sull'isola si trovavano altre due comunità a Cala Reale e a Fornelli, si trattava soprattutto di pastori e agricoltori provenienti dalla vicina Sardegna, ma le due comunità, almeno all'inizio, non si erano integrate, questo successe solo in un secondo tempo, soprattutto con matrimoni misti, ma portando anche a liti e diatribe soprattutto per questioni di vendita e compera di terreni o testamenti.



Fu così che i nomi di Schiaffino, Mortola, Assaretti (o Assereto), Denegri, Maggiolo (o Majuolo o Magiolo ), Valle, Caravagna, Dellacà (scritto anche Della Chà o Della Cha), tutti chiamati camulleses, cominciarono a risuonare sull'isola, nomi che ancora oggi si ritrovano a Camogli. Non c'è da meravigliarsi se troviamo questi nomi storpiati nei documenti dell'epoca. Bisogna considerare che molti a quei tempi molti non sapevano né leggere né scrivere, e un nome pronunciato a voce a un funzionario che doveva scriverlo su un registro, poteva essere trascritto così come veniva recepito.




Nel 1833 a Cala D'Oliva risiedevano 25 famiglie provenienti da Camogli e destinate a aumentare che, non si sa per quale motivo, erano state esentate dal pagamento di qualsiasi tassa. A quel tempo l'Asinara era un comune autonomo che solo nel 1860 venne annesso al comune di Porto Torres.



Il motivo di questa migrazione dei Camogliesi verso l'isola dell'Asinara è un mistero a tutt'oggi insoluto, ma non difficile da comprendere, tutte le migrazioni verso nuovi luoghi hanno una costante comune: quella di trovare un ambiente più congeniale e nuove possibilità di lavoro. Camogli a quell'epoca doveva essere un paese molto povero, tutta l'economia era basata sulla pesca e su quello che oggi chiameremmo l'indotto legato ad essa : c'erano costruttori di barche, c'era chi lavorava alle reti, e poi fabbri, carpentieri e tutto un piccolo mondo che alla pesca era legato. Camogli era un piccolo borgo, poche case tutte raggruppate intorno al castello, alla chiesa, al porto, e all'inizio del lungomare. Naturalmente non esistono immagini del 1700, ma da vecchie fotografie della fine del 1800 possiamo vedere come il borgo, che pure si era esteso, fosse composto da case vecchie e spesso fatiscenti. Quello della pesca non è mai stato un mestiere molto remunerativo e quei pescatori devono aver scelto di trasferirsi in un luogo dove il mare era più generoso che nella loro città natale e dove anche la concorrenza era meno forte, portandosi dietro le famiglie per dare loro la possibilità di un avvenire migliore. Era ancora lontano il periodo dei Mille Bianchi Velieri che avrebbe portato benessere alla città, con la costruzione dei gradi palazzi e delle ville signorili.


Per di più, con l'avvento di Napoleone, in quell'epoca i soldati francesi scorrazzavano per la Riviera razziando e depredando e non è escluso che anche il pescato venisse requisito per la mensa dei militari.

Intanto la piccola comunità di Cala d'Oliva cresceva e al 25 Giugno 1885 contava 45 famiglie con poco più di 200 abitanti. L'isola in totale era composta da 411 abitanti.



Tutto era andato bene fino a quella fatidica data, il 25 Giugno 1885, quando il Governo decise di costruire a Cala Reale il primo lazzaretto del Regno d'Italia, una stazione internazionale di quarantena che doveva servire per difendere la vicina Sardegna dalla malattie che i naviganti portavano dal bacino del Mediterraneo (sopratutto colera e peste), e una Colonia Penale Agricola all'aperto a Cala D'Oliva, quella colonia penale che dal 1970, fino al 1998, anno della sua chiusura, è stata trasformata un carcere di massima sicurezza che ospitò detenuti eccellenti. Tutto era stato ormai deciso e gli abitanti dovevano lasciare l'Asinara entro il 15 Agosto dello stesso anno. Non c'erano alternative, si può immaginare cosa provarono gli abitanti di Cala d'Oliva al pensiero di dover lasciare tutto dopo che per più di un secolo avevano vissuto su quell'isola.



Anche tra i pastori e gli agricoltori sardi ci fu molto sconcerto, ma per loro c'era almeno la possibilità di trasferirsi sull'isola madre, quella era la loro terra e lì avrebbero potuto continuare a praticare pastorizia ed agricoltura, ma per i pescatori di Cala D'Oliva non era così facile: tutti sanno che la Sardegna non è mai stata terra di pescatori e le possibilità di poter continuare la loro attività altrove erano ben poche, anche se avevano ottenuto dal Governo un discreto indennizzo per l'esproprio dalle loro case e dai loro terreni, non era sufficiente per iniziare una nuova vita, e poi dove ?. Quando arrivarono i carabinieri per fare eseguire l'ordine di sfratto i pescatori fecero resistenza e le donne si sdraiarono per terra per impedire di essere portati via, ma alla fine dovettero cedere.




Due facoltosi fratelli sassaresi, Salvatore e Cristoforo Murtola, uno dei quali era medico, usavano trascorrere molto tempo all'Asinara, di cui amavano la natura incontaminata. Salvatore ci andava soprattutto nella stagione della caccia, su quell'isola trovava tutta la selvaggina che voleva, mentre Cristoforo ci passava gran parte dell'anno.


I due fratelli avevano fatto amicizia con i pescatori di Cala d'Oliva e anche loro si trovarono sfrattati dal loro piccolo paradiso. Furono questi due fratelli a prendersi a cuore la sorte dei camulleses e si impegnarono a fare il possibile per aiutarli. Andarono a perorare la loro causa prima presso le autorità governative di Sassari, poi si recarono più volte a Roma a rivendicare i diritti dei nativi dell'Asinara, finché riuscirono ad ottenere che a ogni capo famiglia venisse concesso un indennizzo di 750 lire, invece delle 500 che erano state promesse, e la possibilità di scegliere il luogo dove costruire un nuovo paese che potesse accogliere tutte le 45 famiglie originarie. A questo scopo i tecnici comunali si misero a loro disposizione per predisporre il piano di urbanizzazione. Ancora una volta intervennero i fratelli Murtola i quali consigliarono agli esuli di mettere insieme i soldi avuti dallo stato costituendo un'apposita società -  la comunione dei quarantacinque - che gestisse l'acquisto di un terreno adatto e seguisse il piano di urbanizzazione, mentre i tecnici del comune lo predisponevano. Accettando il consiglio al momento stesso della deportazione ogni famiglia affidò a Cristoforo Murtola 200 lire, per un totale di 9000 lire, perché potesse dar vita al progetto di fondare il nuovo borgo. Venne anche chiesto al comune di Sassari di fornire gratuitamente un terreno, cosa che venne rifiutata. Furono dunque i consigli di questi due fratelli Murtola a fare in modo che il denaro non venisse speso in modo sconsiderato che non portasse a una soluzione definitiva. Questo nome, Murtola, sa di ligure, Mortola è un nome comune a Camogli, e non è escluso che in realtà i due fratelli sassaresi fossero proprio di antiche origini liguri.



Gli sfrattati dall'Asinara si sistemarono provvisoriamente nei locali della Tonnara Saline, non lontana dal luogo dove poi sarebbe sorto il nuovo paese, un impianto risalente al XVIII secolo, e allora funzionante durante la stagione estiva, ma la situazione non era sostenibile, presto avrebbero dovuto andarsene perché stavano per iniziare i preparativi per la stagione della tonnara. Ancora con l'aiuto di uno dei due fratelli Murtola, le 45 famiglie trovarono il giusto un terreno da acquistare dove costruire un nuovo borgo che avrebbe dovuto chiamarsi Cala Savoia.




Si trattava di una striscia di terra protesa verso il mare, racchiusa tra due stretti bracci di mare, che venivano chiamate Isthintini (che vuol dire budello in dialetto sassarese). Il comune di Sassari inviò il personale tecnico, l'ingegnere capo Canalis, il geometra Bettinali insieme a altri, che tracciarono il disegno del nascituro paese, dividendo il terreno in lotti di 400 metri quadrati ciascuno. I primi 45 lotti furono numerati e tirati a sorte tra le 45 famiglie. Era stato creato un piano regolatore della nascente comunità del tutto nuovo, un paese attraversato da strade perpendicolari, diviso in lotti da distribuire a ciascuna famiglia, caso unico di urbanizzazione in quell'epoca non solo nella storia della Sardegna, ma anche di tutto il continente italiano. In quanto al nome del nuovo paese, quel terreno chiuso tra quei bracci di mare, che formano oggi il porto vecchio ed il porto nuovo, alla fine fu italianizzato in Stintino.




Il 22 Agosto del 1885 le 45 famiglie presero possesso del terreno. Furono costruiti blocchi di case ad un piano, ognuna con un piccolo cortile in cui trovarono posto i servizi e un piccolo orto che all'inizio, data l'aria di mare e l'asperità del terreno, non produceva molto, ma era quanto bastava per il sostentamento della famiglia. Ai fratelli Murtola, in ringraziamento di quanto avevano fatto per loro, gli Asinaresi donarono due lotti di terreno. In realtà da alcuni documenti risulta che non proprio tutto andò liscio tra i nuovi abitanti di Stintino e i due fratelli, ma non conoscedo a fondoi fatti ci limiteremo a citarlo.



Come ricordo della loro permanenza a Cala d'Oliva, i pescatori avevano portato con sé dalla loro chiesa  la Madonna della Difesa perché li proteggesse ancora e la posero nella piccola chiesa che tutti gli abitanti costruirono in seguito con una pubblica sottoscrizione. La scuola era stata invece sistemata in una delle abitazioni con una maestra per tutte le classi.



Il nuovo paese dipendeva dal comune di Sassari e gli abitanti cominciarono presto a lottare per l'indipendenza, ma per poter diventare un comune autonomo dovette aspettare fino al 19 Agosto del 1988.



L'isola dell'Asinara, ormai abbandonata da tutti i suoi abitanti, continuò a funzionare come carcere, ma anche come terra di confino. Da alcune fonti risulta che, durante l'occupazione italiana dell'Etiopia,per un certo periodo vi fu tenuta prigioniera, anzi è meglio dire come ostaggio, la figlia del Negus, Ras Tafari Makonnen, meglio conosciuto come Hailé Selassié I°, che era il titolo spettante all'Imperatore d'Etiopia. In seguito, sempre durante l'epoca fascista vi furono tenuti in isolamento anche diversi dissidenti, come avvenne in altre sperdute isole italiane.







Un fenomeno allora ancora poco conosciuto, il turismo, approdò presto a Stintino, grazie alle sue acque cristalline e alle bellissime spiagge. All'inizio i bagnanti, così venivano chiamati questi nuovi arrivati estivi, giunsero in piccolo gruppi, anche a causa dell'asperità delle strade e alloggiavano nelle case dei pescatori, ed erano soprattutto note famiglie sassaresi, ma con il tempo il fenomeno dilagò. Una di queste famiglie che fino dai primi del 1900 cominciò a frequentare Stintino e lo fece per molti anni a venire è stata la famiglia Berlinguer.




Ora Stintino è molto cambiata, si è estesa, è diventata una località turistica molto nota e frequentata, la tonnara è chiusa da molto tempo e le costruzioni a terra dell'impianto sono state trasformate in case vacanze. Tutto quello che rimane della tonnara è un Museo, chiamato "Il ricordo della memoria". E' ospitato al porto Mannu all'interno di una struttura costruita appositamente, e contiene una raccolta di documenti, oggetti originali, foto d'epoca e modellini posti in camere successive, dalla camera grande alla camera della morte - che chiude il museo -  riproducendo idealmente la struttura di una tonnara e ci illustra con informazioni di carattere storico la vita dell'impianto delle Saline.



Ecco il perché della mostra del 2001, la sua finalità era quella di tornare alle radici di una comunità che ancora oggi porta nomi Camogliesi, che si vanta delle sue origini e non le vuole scordare come Camogli non può e non deve dimenticare quei lontani emigranti che lasciarono la loro terra per un viaggio allora fortunoso e pieno di incognite, antesignani delle più grandi migrazioni che avvennero in tempi più recenti verso paesi che potevano offrire maggiori possibilità di lavoro ed un riscatto dalla povertà.





PIANTA STINTINO



Stintino10   





 
 
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