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LA FINESTRA SUL PORTO
di Annamaria "Lilla" Mariotti

Questo racconto è risultato finalista nella 32ma  edizione del Premio Letterario Internazionale "Santa Margherita Ligure - Franco Delpino" - sezione LIGURIA & AMBIENTE - Ottobre 2009 - ed è stato pubblicato  nel nuovo libro antologico "Liguria, ambiente e civiltà"

Personaggi: la storia di un vecchio pescatore

Su quell'angolo del porticciolo di Camogli, là dove si trova la vecchia mancina, si affacciano le case più antiche del borgo.  I fondi di quelle case erano una volta adibiti a magazzini dai pescatori ed era usuale vederli seduti davanti alla porta su vecchie sedie impagliate, mentre riparavano reti e nasse, chiacchierando tra di loro.


Ora sul porto si aprono una birreria, un bar e la veranda di un elegante ristorante; dall'imbarcadero, durante l'estate, partono battelli pieni di turisti diretti a Punta Chiappa e San Fruttuoso ed i pochi pescatori rimasti si riuniscono sulla calata all'arrivo delle barche per vedere il pescato dei loro colleghi, ma queste riunioni sono sempre più rade.  Si vedono ancora dei grandi contenitori pieni di reti e qualche pescatore che ogni tanto le ripara. Durante la bella stagione, al calare del buio, gli uomini partono e tornano alle prime luci dell'alba dopo una nottata passata in barca dietro alla luce della lampara, ma vanno e vengono per la calata, con gli occhi pieni di sonno, in silenzio, per loro quello è un lavoro, il loro lavoro e non hanno bisogno di parlarne con nessuno.

Sulla calata si affaccia una finestra, al secondo piano di una vetusta casa dipinta di bianco, dietro alla finestra un monolocale, di quelli che farebbero la gioia di qualsiasi vacanziere, un’unica stanza, con l'angolo cottura ed un grande, comodo bagno piastrellato con tanto di doccia.  Alla finestra, tutti i santi giorni e con l'immancabile berretto in testa, si affacciava un pescatore, vicino agli 80 anni, ma non era l'età anagrafica che lo tormentava, una vita in mare, di notte e di giorno, sole e pioggia, caldo e freddo, gli avevano procurato tanti di quei malanni di cui lui non voleva neanche più parlare, ma che lo avevano minato nel fisico e confinato in quello spazio ristretto, che una volta era un magazzino e che la sua famiglia aveva amorosamente ristrutturato per lui, dopo che era stato costretto ad abbandonare la sua comoda casa sulla Piazza della Chiesa, lassù, all’ultimo piano, con tanto di terrazzino sul tetto, vicino alle stelle, ma ormai difficile da raggiungere per vie delle scale troppo ripide.   Gli erano state amputate alcune dita di un piede a causa di uno di quei suoi malanni, e fino a poco tempo fa non era difficile incontrarlo seduto sul muretto della piazza a chiacchierare con i suoi vecchi amici, ma da un po' di tempo non usciva quasi più e quella stanza e quello che succedeva sulla piazzetta sottostante erano tutto il suo mondo.  Ho avuto la fortuna di essere stata accettata da lui, cosa non facile, per farmi raccontare la sua storia. Bisognava andarlo a trovare e lui ti accoglieva con un gran sorriso, ti mostrava la sua casa e soprattutto il grande bagno, di cui andava molto fiero, perché una comodità così lui non doveva mai averla avuta prima, certamente non in gioventù.

Giacomo Bozzo, questo era il suo nome, detto Già, discendeva da una stirpe di pescatori.  Il suo è un cognome abbastanza comune in paese, per questo gli era stato dato un soprannome. Nei piccoli centri, per distinguere il componente di una famiglia da quello di un'altra con lo stesso cognome, vengono affibbiati dei nomignoli, spesso molto significativi, che stanno ad indicare proprio quella persona, e nessun altra.  Questo evita confusioni.
Il padre di Già, nativo di San Nicolò, una piccola frazione ai piedi del Monte di Portofino, negli anni '30 del 1900, non era solo un pescatore, ma era anche armatore di due leudi, Gloria di San Fortunato e Nostra Signora del Boschetto, i cui nomi derivavano dalla devozione popolare per il patrono dei pescatori e per la Madonna a cui è dedicato un santuario sulle alture di Camogli, sul luogo in cui la Vergine è apparsa nel 1518 ad una piccola pastorella e che da allora è diventata la protettrice di tutta la città.

Con quei due leudi il padre di Già, Mario, partecipava alla pesca delle acciughe alla Gorgona, ed è stato l'ultimo a praticarla a Camogli, dopo di lui non ci è andato più nessuno.   Questa campagna di pesca ha origini molto antiche, si praticava già nel 1700 e pare che sia nata dalla necessità di reperire grandi quantità di quel pesce azzurro che, per qualche misterioso motivo scarseggiava, nel nostro golfo.  L'equipaggio veniva scelto nei giorni precedenti la partenza sotto l'edicola della Madonna del Buon Viaggio che si trova sulla calata del porto e spesso si imbarcavano anche contadini, che cercavano di sopperire ad una magra stagione, e qualche volta anche dei ragazzini che a quella scuola imparavano un mestiere, ma anche la durezza della vita.   La partenza avveniva durante la notte della seconda domenica di Maggio, dopo i festeggiamenti per San Fortunato, patrono dei pescatori e le barche tornavano alla metà di Agosto, quando cominciavano le burrasche estive.  Quella sera gli uomini arrivavano alla spicciolata, con i loro fagotti sotto il braccio, a volte accompagnati da una sposa che voleva dare un ultimo saluto prima di quella lunga lontananza.   Le provviste erano già state imbarcate nei giorni precedenti e consistevano in cibi non deperibili, come legumi secchi, pesce e carne salata, pasta, l'immancabile galletta secca, cibo del marinaio, insieme a fichi secchi e limoni della vallata per evitare il pericolo di malattie come lo scorbuto. Venivano portati anche dei vasetti di quagliata, un derivato del latte, conservata nel sale, ingrediente indispensabile per poter fare un  po’ di pesto, immancabile per una buona pastasciutta dal sapore di casa, con il basilico che veniva acquistato a Livorno. Poco dopo la partenza c’era la prima calata di reti, a Punta Chiappa e le alici venivano sbarcate a Lerici, poi a forza di vela e remi gli uomini raggiungevano la Gorgona.

Le acciughe della barca di Mario venivano salate direttamente a bordo, appena pescate, utilizzando sale e barili che venivano portati da casa e poi vendute a Livorno ad un commerciante inglese che tornava ogni anno per le acciughe di Padron Mario, le migliori, secondo lui, per preparare una certa salsa di cui nessuno ora ricorda il nome I soldi però arrivavano dall'Inghilterra solo a Settembre e alla fine della stagione il ricavato netto poteva ammontare a 200 o 300 lire.  Al ritorno comunque i pescatori riuscivano a ricavare qualcosa dalla loro pesca, anche se non si arricchivano di certo.  Una metà del ricavato andava al padrone e l'altra metà ai pescatori, diviso in base all'età e all'esperienza e una parte andava alla chiesa.  Da un registro conservato nell'archivio dell'Oratorio dei SS. Prospero e Caterina di Camogli, datato 1742 risulta che in quell'anno i pescatori della Gorgona fecero una donazione totale, tra pesce salato e denaro, per un ammontare di  300 lire. Doveva essere stata veramente una buona annata.
 
Finita la stagione in Toscana le due barche pescavano nel familiare Golfo di Camogli, a ridosso del Monte di Portofino e se tirava lo scirocco si dirigevano verso Nervi poi, al ritorno, spedivano parte del pescato a Genova con il treno.  La mamma, Maria, vendeva il restante pesce a Camogli.  Ma da un certo punto, verso la fine del 1930, le barche sono state vendute così Già ha trascorso la sua vita tra le reti, pescando in proprio e dedicandosi anche alla mugginara e alla tonnara.

E' questa la scuola a cui si è formato il nostro pescatore, che ha seguito le orme paterne facendo lo stesso mestiere per tutta la vita.  Diventato più grandicello il padre lo ha iniziato alla pesca della mugginara, un metodo vecchio di centinaia di anni che richiede molta pazienza ed una grande abilità.  La mugginara è una rete che viene calata in tutte le stagioni e con ogni tempo per catturare pesce di passaggio, una specie di sacco, la cui bocca è rivolta verso Camogli, per cacciare il pesce che arriva sempre da ponente.  "Prima ci andavo con mio padre, ma pesci non ne vedevo mai. Ero giovane ….ma lui aveva l'esperienza" . Sono queste le parole di chi ha l'umiltà di voler imparare, e Già ha imparato, perché ha lavorato alla  mugginara per 25 anni, anche se questo non era per lui un lavoro fisso,  altri pescatori lo chiamavano a fare la guardia, benché lui avesse una mugginara di sua proprietà, perché era considerato uno dei più esperti. Infatti Già è diventato una delle due vedette storiche, insieme a Spadin, un altro mito di quel tempo.  Già è orgoglioso di questo suo lavoro, racconta che, una volta fattasi l'esperienza, era l'unico che riuscisse a vedere i pesci e a riconoscere dal colore dell'acqua di quale specie si trattasse.  

Fare la guardia, o la vedetta, alla mugginara non è uno scherzo, si sta accovacciati su un piccolo terrazzino che si trova a poche decine di metri di altezza, appoggiato ad una roccia a breve distanza da Punta Chiappa e si guarda il mare dalle prime luci dell'alba fino alle prime ore del pomeriggio, attenti a qualsiasi minimo mutamento della superficie che indichi l'arrivo del pesce, allora si dà la voce alle due barche ancorate là sotto gridando "Issa, leva !!" e la rete viene chiusa con il suo prezioso carico, svuotata in una delle barche e rimessa in mare, il tutto ripetuto varie volte durante la giornata.  Se la pescata era stata buona il pesce veniva subito portato a Camogli con una barca a remi, perché allora non si usavano molto i motori.  Alla fine della giornata la rete veniva recuperata e portata a terra per essere riposizionata per la prossima pesca.  Le mugginare erano più di una, negli anni in cui Già pescava si parla di circa 20 impianti che si alternavano sotto quel terrazzino, tanto c'era pesce per tutti.

Le prede più comuni erano i muggini (Liza sp) e la ricciola (Seriola dumerili) che viene pescata nella stessa stagione in cui viene catturata anche dalla tonnara, cioè all'inizio dell'estate, ma i due impianti riuscivano a convivere  pacificamente in quanto le ricciole che entrano nella rete della mugginara, per un gioco di correnti sfuggirebbero alla tonnara.  Ai giorni nostri la mugginara viene ancora calata saltuariamente, ma Già pescava con quel metodo da molti anni, anche durante e subito la seconda guerra mondiale, e ha continuato ancora per molto tempo, fino al 1986.

Il nostro Già ha anche lavorato alla tonnara, alternandola alla mugginara, negli anni d'oro di questo impianto, tra il 1948 ed il 1964, quando ancora si pescavano i tonni, vedendo l'avvicendarsi di quattro Capi Guardia, o Rais, secondo come li si vuole chiamare, e ottenendo a sua volta la carica  per due anni, quando poi ha lasciato per tornare alla sua amata mugginara.


Il Podestà di Camogli che nel 1937 aveva ripristinato la Cooperativa Pescatori e l'impianto della Tonnara era un parente di Già e è forse per questo che lui è entrato a farne parte e ci racconta l'evoluzione dell'impianto attraverso gli anni.  Le reti, prima di canapa, venivano riportate a terra alla fine di ogni stagione, riparate e tinte nel grande forno sul molo, usando la corteccia del pino marittimo, per renderle di quel coloro rossiccio che le rende invisibili sotto il pelo dell'acqua, poi è arrivato il nylon, poco pratico, fino al cocco, che viene usato ancora oggi.  Già ci ha raccontato delle lunghe guardie alla tonnara, anche di notte, quando era usuale lasciare sempre qualcuno a tenere d'occhio l'impianto, cosa che oggi non si fa più.  Anche nel periodo in cui Già ha lavorato alla tonnara si facevano le tre levate al giorno, la prima all'alba, quando dietro il Monte Esoli si affacciava  il primo sole, poi la seconda alle dieci del mattino, e l'ultima alle cinque del pomeriggio.  

A quei tempi c'erano fino a venti gli uomini d'equipaggio, poi diventati una dozzina - oggi ne sono rimasti sei - e allora, tutti insieme dopo la prima levata dell'alba cucinavano a bordo una gustosa zuppa di pesce, annaffiata da vino bianco.  Gli uomini, tutti, giovani e meno giovani, selezionavano il pesce  di piccole dimensioni, lo pulivano e lo cucinavano con cipolla e pomodoro, poi lo distribuivano in due piatti di terracotta dove tutti attingevano con le mani, aiutandosi con la galletta.  Già ci ha confessato di avere lasciato la tonnara proprio a causa di questa zuppa di pesce condominiale, lui non gradiva il pesce di prima mattina e soprattutto non gradiva pescare nello stesso piatto degli altri.  Riconosce che il suo era un capriccio, ma era più forte di lui.

Già era fiero della sua vita da pescatore, raccontava  a ruota libera, anche gli aneddoti come quello della zuppa non lo imbarazzavano, tanto lui preferiva continuare a pescare per conto suo, era orgoglioso di essere stato l'ultimo a portare avanti la pesca al muggine e alla ricciola con quella rete dal nome suggestivo.   Il suo racconto era pieno di magia, la vita sul mare, i sacrifici, i lunghi giorni e le lunghe notti diventavano una favola, sembrava di vedere la luna piena che splendeva in cielo mentre la barca di guardia alla tonnara dondolava nel buio.  Le lunghe attese sul terrazzino diventavano un viaggio all'interno di se stessi, mentre il mare scorreva sotto i suoi occhi, anche la vita del pescatore scorreva nei suoi pensieri.  La vita in mare è stata dura con lui, ma lui l'ha percorsa tutta finché la salute glielo ha permesso, e con tutto ciò si portava bene i suoi 80 anni e se ti vedeva arrivare con una buona bottiglia di vino il suo sorriso si faceva ancora più caloroso.  

Ora quella finestra è chiusa per sempre. Già se n'è andato, alla fine la malattia ha vinto la sua forte fibra.  Se si pensa all'aspettativa di vita dei vecchi camogliesi, quelli veraci, quelli di una volta, che morivano ultranovantenni, Già è morto giovane, aveva solo 82 anni.  

L'ultima volta che sono stata a trovarlo, vederlo seduto su una sedia a rotelle, vicino alla sua finestra e ricordarlo com' era una volta, alto, robusto, lieto di raccontare la sua vita, mi ha procurato una stretta al cuore, però sono contenta di averlo conosciuto, di aver raccolto le sue memorie per poterle tramandare a tutti quelli che avranno voglia di leggerle.






 
 
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